“V’era a Capri, nella parte più selvaggia, più solitaria, più drammatica, in quella parte tutta volta a mezzogiorno e ad oriente, dove l’Isola da umana diventa feroce, dove la natura si esprime con una forza incomparabile, e crudele, un promontorio di straordinaria purezza di linee, avventato in mare come un artiglio di roccia…”
Con queste parole Curzio Malaparte descriveva l’ispirazione per quello che sarebbe diventato un prodigio dell’architettura di inizio '900: la Casa come me o anche conosciuta come Casa Malaparte, costruita nel 1942.
Nel 1936 Curzio Malaparte è ospite a Capri del medico e scrittore svedese Axel Munthe.
Dopo una passeggiata a Capo Massullo ebbe la visione e l’ispirazione di Casa Malaparte e si attivò per acquistare questo promontorio di roccia da un pescatore. Mediante le sue conoscenze e simpatie per il partito Fascista di cui fu anche in parte fondatore si attivò presso le autorità locali per ottenere i permessi ci costruzione dell’abitazione e della strada per arrivarvi.
Malaparte scelse, per il progetto, Adalberto Libera, l’architetto del palazzo dell’E.U.R a Roma, uno dei pionieri del razionalismo italiano, molto conosciuto per le sue idee futuriste; invece per la costruzione si affidò al maestro muratore caprese Adolfo Amitrano, “il migliore, il più onesto, il più intelligente, il più probo, fra quanti abbia mai conosciuti”. In realtà pare che il progetto originario di Libera fosse in linea con la tipica architettura caprese e che il risultato finale sia stato in gran parte frutto delle intuizioni visionarie dello stesso Malaparte.
A prima vista assomiglia più ad un immenso mattone caduto sulla roccia che ad un’abitazione. Ma poi, a ben guardare, la struttura è in assoluta sintonia con la natura che la circonda, e finisce col sembrare una naturale elevazione del promontorio.
“I problemi da risolvere non erano pochi, e non erano facili. A cominciare dall’orientamento poiché c’era da scegliere fra due venti, il greco e lo scirocco, che vi battono spesso. E io preferii affrontarli col gomito, per così dire, orientando la casa con gli angoli volti a tagliare i quattro punti cardinali. In quanto alla sua forma, essa mi era dettata dall’andamento della roccia, dalla sua struttura, dalla sua pendenza, dal rapporto dei suoi sessanta metri di lunghezza con i suoi dodici metri di larghezza. La feci lunga, stretta dieci metri, lunga 54. E poiché, a un certo punto, dove la roccia si innesta al monte, la rupe si incurva, si abbandona, formando come una specie di collo esile, io qui gettai una scalinata, che dall’orlo superiore della terrazza scende a triangolo.”
Nel 1938 Capo Massullo è suo. Una roccia inaccessibile, a picco su una baia verde e turchese. Tutto intorno solo il mare, la roccia e la natura selvaggia. Un luogo unico al mondo. I lavori durarono quattro anni, dal 1938 al 1942; all’esterno la casa si collega alla roccia con una grande scalinata strombata di uno stile vagamente Inca che sale fino al tetto-solarium pavimentato in cotto. Sul grande tetto piatto che copre interamente il secondo piano non ci sono più le volte ma c’è un piccolo muro bianco a forma di falce, una vela che protegge lo scrittore dallo sguardo dei curiosi.
Al secondo piano il vasto soggiorno ha il pavimento in basalto grigio come un’antica strada romana, e quattro grandi finestre alte come i muri si aprono sullo splendido paesaggio. Non ci sono infissi, ma ogni apertura ha una cornice di legno di noce. Un vetro montato sul fondo del focolare del camino lascia intravedere il mare attraverso le fiamme, e dall’esterno, se la casa è abitata, si vede il fuoco.
In fondo a tutto, a picco sul mare, lo studio dello scrittore. La decorazione di ogni piastrella del pavimento è una lira d’Orfeo disegnata da Alberto Savinio, e Malaparte amava dire “qui da me si cammina sulle lire”. Lo studio ha tre finestre con tre diverse vedute: da un lato i Faraglioni, dall’altro la Punta della Campanella e dal terzo l’infinito dell’orizzonte.
Fin da subito le reazioni a quella “strana” casa furono varie. La villa, che rappresenta una vigorosa anticipazione del razionalismo italiano, scatena subito la reazione degli architetti e degli storici dell’architettura. Qualcuno parla di “un prodotto rigido ed in collera con la natura”, qualcun altro “di un relitto rimasto sulla roccia dopo il riflusso delle onde”. C’è chi associa la casa a “una barca arcaica e senza tempo in equilibrio tra architettura mediterranea e giochi d’astrazione”.
E c’é chi ne parla, invece, come un oggetto in fusione perfetta col paesaggio.
Casa Malaparte seduce perché é la materializzazione della personalità di uno scrittore inquietante che ancora oggi fa parlare di se. Perché é il risultato di citazioni letterarie, di memorie politiche, di frammenti di vita. Perché è un architettura che è anche l’autobiografia di un personaggio, il luogo dei suoi ricordi, il manifesto della sua ideologia.
Il suo fascino è arricchito dalla lunga sequenza di ospiti che, nei decenni, vi hanno soggiornato, Albert Camus, Moravia, Picasso, Togliatti e altri.
Il regista Jean-Luc Godard la scelse per ambientare un episodio del suo film: Il Disprezzo.
Purtroppo dopo la morte di Malaparte, una serie di dispute legali tra i discendenti e gli eredi designati dall’autore ha ottenuto come unico risultato la chiusura al pubblico e l’incuria della villa; ma nella memoria collettiva resta ben salda l’immagine e il fascino esercitato da questo luogo di passione e pensiero. Il festival di Cannes del Ha scelto proprio uno scorcio di questa casa per il suo manifesto nel 2016 e, di sicuro, la personalità di Malaparte si è fusa con punta Massullo, insinuata come una radice di un arbusto che spacca e trattiene al tempo nella roccia. Infatti tutoggi i capresi, chiamano quest’angolo impervio e selvaggio semplicemente: Malaparte.
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